Mentre mi accingo a scrivere questo articolo una domanda vaga nella mia mente: “Fino a che punto un’emozione si può tradurre in parole?”.
Improvvisamente l’intero vocabolario mi pare vano di fronte alla magniloquenza di un tramonto, di un’alba e mi sembra quasi di sminuire i ricordi cercando di metterli per iscritto.
Allora mi immedesimo per un’istante nel senso di impotenza che si doveva provare prima dell’invenzione della fotografia.
Proverò a rendere questo racconto, grazie alle foto di questo viaggio, un mezzo in quello che è un viaggio tra i ricordi, le emozioni e le sensazioni.
Dicono che le cose improvvisate siano sempre le migliori ed è stato proprio il caso della nostra vacanza in Trentino.
A fine Agosto 2016 avevamo deciso che avevamo entrambi bisogno di una partenza imminente: lei per fuggire da un’estate turbolenta, per prendere una boccata d’aria fresca in posti che aveva sempre vissuto solo superficialmente durante le vacanze di famiglia, ed io per la mia sete fotografica e la nostalgia delle mie amate Dolomiti.
Così approfittammo delle mie ferie e, prenotato il nostro residence, fatti i primi acquisti di Eleonora nei reparti escursionismo dei negozi sportivi, eravamo pronti a partire.
La mattina del 18 Settembre ci siamo messi in viaggio, un viaggio di nove ore soste incluse, dalle temperature ancora calde e piacevoli di una fine estate romana, verso il fresco dell’autunno trentino, diretti, per l’esattezza, in Val di Fassa.
Ed è stato proprio nel momento in cui siamo usciti dall’autostrada e abbiamo fatto sosta presso Nova Levante, Bolzano, che lei mi disse di essersi resa conto di aver sbagliato per il 60 % il vestiario per i giorni a seguire.
Ma il fresco ancora sopportabile nei nostri vestiti estivi con cui eravamo partiti, non era nulla di fronte allo spettacolo che ci aveva dato il benvenuto: si apriva dinnanzi a noi una vallata che ospitava cavalli al pascolo ed una tipica chiesetta trentina dinnanzi alle maestose cime del Latemar.
Alla vista di un arcobaleno in quei minuti antecedenti al tramonto ci siamo avviati verso il lago di Carezza, con la speranza di assistere, con un po’ di fortuna, ad uno spettacolo mozzafiato, come quello a cui, secondo la leggenda, assistette la ninfa Ondina.
Il mito ambientato nel celeberrimo lago, infatti, narra che le sue acque fossero abitate dalla bellissima ninfa che usciva dal lago e sedeva su di uno scoglio presso le rive e iniziava a cantare con la sua voce melodiosa ammaliando i viandanti.
Ma il suo canto arrivò anche alle orecchie dello stregone del Latemar che si innamorò di lei di un amore non corrisposto.
Egli tentò più volte di rapirla, ma invano. Si rivolse allora ad una strega che gli consigliò di travestirsi da mercante di gioielli e pietre preziose in modo da attrarre a riva con le sue mercanzie la propria amata.
Ma questa, seppur incuriosita, non lasciò le acque.
Allora lo stregone tornò dalla strega che gli suggerì di realizzare con le stesse pietre un meraviglioso arcobaleno affinché ella emergesse e lui potesse catturarla.
Lo stregone mise in atto il piano e realizzò il più bell’arcobaleno mai visto sulle Dolomiti, ma incantato egli stesso dal proprio lavoro, si dimenticò di adottare un travestimento.
Ondina emerse dalle acque, ma proprio quando il piano della strega sembrava arrivare a conclusione, ella si accorse dello stregone e terrorizzata si rituffò nelle acque del lago per non uscirne mai più.
Lo stregone, distrutto dalle pene d’amore ed in preda all’ira, prese l’arcobaleno e lo gettò nel lago, riducendolo in mille pezzi e le acque assunsero tutti i colori dell’iride.
Oggi è possibile vedere Ondina, la sua statua di bronzo, nei mesi, in cui le acque del lago raggiungono i livelli più bassi.
Purtroppo Settembre non era il periodo adatto e infatti potemmo vedere solo il gomito della statua.
Dall’alto del lago s’intravedeva solo il gomito della ninfa Ondina
Il tramonto era ormai finito, ma qualche scatto ricordo fu doveroso.
Attraversammo la recinzione di legno e scendemmo sulla riva ghiaiosa nonostante non fossimo attrezzati a dovere.
Ci saremmo trattenuti più a lungo in quell’atmosfera mistica e carica di leggenda, se solo non fossimo stati disturbati dalla pioggia.
Messa a riparo l’attrezzatura fotografica tornammo alla macchina e finalmente arrivammo al nostro residence.
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